Negli anni 40 – 60, a Maratea vi era più di una lampara, ma le principali possiamo dire fossero quattro. La “Chiurma” (l’equipaggio) era costituita da un capo pesca (solitamente proprietario della rete e delle barche necessarie) e da 9/10 marinai che ruotavano sulla stessa lampara o su altre a seconda della necessità. Di seguito riportiamo i nomi dei capo pesca e dei marinai che prevalentemente, “inu na lampara cu…” (andavano alla lampara con…):
Zù Monicu
À Pisciarella
Giampietro
Giuvannuzzu
Mùseu
Carvanzu
Paparazzinna
Uà Uà
Rocchìceddu
Menzu chilu
Tract
Lentu lentu
Caramellu
Nasiceddu
Fransuà
Giuanni senza paura
Ù Zilluseddu
Catauni
Picareddu
Angiòllu
Biasineddu
Ù Sturiuni
Felucciu à muta
Moca moca
Picareddu
Ù Spagnolu
Zù Luiggiu
Ù Ciucciaru
Blasittu
Pappuncellu
Ù Burru
Cicchitellu
Ù Pacciu
À Murina
Cilarduzzu
Santabarbara
Ù Colossu
Igno agnu
Ù Cagnolu
Rocchiceddu
Ciascuna lampara era composta da una “lanza” (lancia), che portava la luce e da una barca, più grande, con a bordo la rete; entrambe a remi. La rete, che si presume sia stata inventata da un certo Lauro Francesco di Ischia intorno al 1980, viene tenuta in superficie da sugheri e calata a cerchio intorno alla luce. La parte inferiore viene trascinata verso il fondo da piombi. Man mano che la rete viene issata a bordo,si insacca mentre il cerchio superficiale si stringe imprigionando il pesce. La “luce” è stata nel tempo alimentata in vari modi dettati, spesso, dalla difficoltà di reperire il “combustibile” necessario (ad esempio durante la guerra):
Luce a carburo: Era costituita da una sfera su cui erano alloggiati una quindicina di “beccucci” da cui usciva il gas di acetilene sprigionato dal carburo.
Luce a petrolio: La luminosità veniva fornita da retine di amianto (da due a otto) le così dette “cazette”, Queste venivano preventivamente scaldate con un fiammifero prima di aprire la valvola di alimentazione del petrolio.
Luce a batteria: In questo caso l’alimentazione veniva assicurata da batterie che venivano caricate c/o la centrale elettrica di Fiumicello e portate a bordo poco prima di salpare.
Solitamente, la “chiurma” si radunava, in attesa che venisse l’ora di salpare, sulla spiaggia nel tardo pomeriggio.
Prima di partire per la pesca, il “lampista” verificava il corretto funzionamento della luce, posta sulla “lanza”, procedendo alla sua accensione poco prima dell’imbrunire. Nello stesso momento, il capo pesca si portava sulla spiaggia comunicando ai marinai in attesa dove aveva intenzione di andare (ponente e/o levante) a pescare. A questo punto il lampista più un altro marinaio si avviavano (a remi), verso il punto indicato dove effettuare la prima “cala” fermadosi dopo aver gettato l’ancora. Nel frattempo il resto della “chiurma” provvedeva a caricare la rete sulla barca grande, di solito armata a quattro remi, avviandosi, a loro volta, al seguito dalla lanza. Arrivata sul posto la barca rilevava l’ancora dalla lanza mollando, quest’ultima, a circa trenta metri da essa tramite una cima. Sulla lanza restava il lampista che aveva il compito di vedere, guardando sotto la luce, la consistenza del banco di alici. Quando riteneva che la cala potesse essere fruttuosa, dava l’ordine di calare la rete.
In genere tale ordine veniva impartito solo quanto la stima del banco, dettata dall’esperienza, fosse tale da giustificare la cala e, soprattutto, la successiva faticosissima salpata. La rete veniva issata a bordo da tre marinai a poppa e tre a centro della barca. Quasi sempre si facevano più cale durante la stessa nottata. Alla fine dell’ultima cala si faceva ritorno sulla spiaggia dove il pesce veniva sistemato in cassettine di legno pronte per essere affidate ai rigattieri, alle donne (solitamente le mogli dei marinai) o, in caso di grande quantità, inviato a Sapri dove era presente una piccola industria per la salagione. Le donne mettevano le alici in ceste di vimini, che portavano sulla testa, e si avviavano, a piedi, verso le varie frazioni spingendosi, spesso, fino a Trecchina e Lauria.
Intanto i marinai procedevano a lavare la barca e la rete che poi mettevano ad asciugare sulla spiaggia . La lunghezza della rete era tale che “inta à rena” (sulla spiaggia), riuscivano a trovare posto solo due lampare per cui, nel caso fossero uscite a pesca più di due “chiurme” la terza che tornava, una volta ultimate le operazioni di scarico del pesce, era costretta a recarsi a Fiumicello per asciugare la lampara.Dopo una nottata di durissima fatica non doveva essere certo piacevole fare un’ulteriore remata per andare a compiere tale operazione per cui, nell’economia generale della battuta di pesca, si cercava di tener conto di tale sciagurata possibilità cercando di prendere almeno “la medaglia d’argento”.
Interessantissimo articolo.
Potreste indicarmi dove posso trovare notizie storiche sull’uso della lampara (lampada) del suo uso e di come veniva alimentata anticamente.
Grazie per la cortese attenzione.
Carlo
PS
Vivo negli USA e vorrei fare una ricerca per la mia classe di Italiano all’Universita’ di San Francisco.
Interessantissimo articolo.
Potreste indicarmi dove posso trovare notizie storiche sull’uso della lampara (lampada) del suo uso e di come veniva alimentata anticamente.
Grazie per la cortese attenzione.
Carlo
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Vivo negli USA e vorrei fare una ricerca per la mia classe di Italiano all’Universita’ di San Francisco.