Zu Monico

 

 

Tra i tanti marinai del porto ormai passati emerge la figura di Zu Monaco. Umberto Zaccaro, questo era il suo nome, abitava nella casa più vicina al mare, sulla spiaggia, quasi a mantenere un contatto continuo ed epidermico con quell’elemento che non abbandonerà mai. Aveva un carattere forte e deciso, nelle discussioni voleva sempre averla vinta lui perché si reputava il più bravo e il più esperto in assoluto e in alcuni campi lo era per davvero.

Io l’ho conosciuto quando era già anziano e gli altri marinai già raccontavano episodi della sua vita, passata sempre in continua competizione con gli altri e custode geloso dei segreti del mestiere. Mi raccontava Juccio, un altro marinaio, che una volta stavano pescando al largo di Fiumicello – una località vicino al porto – le alici con la lampara. Due erano le barche che pescavano e nonostante ci fossero tantissime alici non le riuscivano a prendere a causa della corrente che era talmente forte da non consentire alle barche di girare intorno al branco con la rete. Avevano fatto vari tentativi tutti falliti, la rete veniva deviata dalla corrente e il branco di pesci ne restava sempre fuori. Gli equipaggi di ambedue le barche erano stremati dall’enorme lavoro per giunta infruttuoso.

Ad un tratto Zu Monaco ebbe un lampo di genio, calò la rete in modo insolito ma producente, catturò tre o quattro quintali di alici in una sola cala. Il capobarca dell’altro equipaggio, Juccio appunto, resosi conto che Zu Monaco era riuscito a prendere le alici, si avvicinò e chiese ad alta voce come bisognava calare la lampara. Dalla barca di Zu Monaco nessuno rispose, allora, quasi implorando ripeté la domanda; dopo poco un marinaio di Zu Monaco gridò: ”cala mpronti rema “ – cala controcorrente –

Il giorno dopo il marinaio fu sbarcato e si racconta che fu pure malmenato in quanto aveva svelato al concorrente il sistema per pescare le alici in condizioni estreme.Tra me e Zu Monaco c’era una stima reciproca, io usavo tutte le buone maniere, dandogli del “ Vui “ e lui mi diceva che ero intelligente e che potevo imparare.Il primo impatto che ebbi con lui però non fu tra i migliori.

Avevo sette anni ed era il periodo natalizio, stavo allestendo a casa, insieme ai miei fratelli ed ai miei genitori sia l’albero di Natale che il Presepe. Quest’ultimo era a buon punto e mio fratello mi disse che bisognava andare a prendere sulla spiaggia della sabbia fine e pulita per fare le stradine. Prendo il secchio e scendo in spiaggia, la spiaggia al Porto era grandissima e la sabbia in alcuni punti era sottilissima, in altri un po’ più a ciottoli e vicino al fiume che la solcava verso ponente era a ciottoli rotondi.

Mi dirigo verso la parte della spiaggia dove la sabbia era più sottile, mi riempio il secchio e mi avvio verso casa passando proprio davanti quella di Zu Monaco. Lui era davanti la porta ed aveva seguito ogni mia mossa, mi chiama e mi dice:” Se la lasci qua la sabbia è di tutti, se te la porti a casa diventa solo tua. La sabbia è di tutti quindi svuota il secchio e vattene a casa”. Senza dire una parola, deluso e mortificato svuoto il secchio e me ne torno a casa.

I rapporti migliorarono col tempo e spesso ci ritrovavamo a pescare con la canna insieme. Tante volte pescavo più pesci di lui perché più giovane e quindi più tempestivo nel ferrare le occhiate e i cefali, lui era bravissimo con i saraghi perché più paziente nell’attesa. Quando ero presente era sempre un poco burbero con me però con gli altri, in mia assenza, parlava di me in modo positivo. “Tridici cocci è svegliu” così soleva dire. “Tridici cocci” era il mio soprannome.

Un giorno andai con lui e con Michele, un mio coetaneo, a togliere una coffa che lui aveva calato al largo di Fiumicello la sera precedente. Lui toglieva la coffa dal mare ed io e Michele ci alternavamo ai remi. La coffa è un sistema di pesca fatto con degli ami legati ad un filo di nylon lungo un migliaio di metri ai quali si innescava o pezzi di polipo o pesci azzurri (in genere alici o sarde).

Essendo le prime volte che avevamo ottenuto l’onore di andare a pesca con lui eseguivamo alla lettera le indicazioni che ci impartiva, consapevoli di essere costantemente sotto esame. Avevamo già preso un dentice di un paio di chili quando Zu Monaco ci allerta dicendoci che era abboccato un grosso pesce, per giunta vivo, visto che tirava la lenza con violenza. Remavo con molta attenzione mentre Michele preparava il gancio e sbirciava verso il fondo del mare per vedere il pesce che combatteva.

Anche io mi sono sporto dalla murata della barca per cercare di vedere questo pesce che doveva essere enorme visto il lavoro e lo sforzo che faceva Zu Monaco nel tirare il filo, immediatamente è arrivata la sua sgridata e l’ordine di “ siare a poppa” remare cioè verso poppa per agevolare il suo lavoro. Peschiamo alla fine, dopo avere spezzato anche il vecchio gancio, un dentice di venti chili, il più grande che io abbia mai visto ancora oggi.

Crescendo in quell’ambiente marinaro anche io imparavo quelle furbate che servivano per rubare il mestiere visto che nessuno era disposto ad insegnartelo. Volevo imparare a rattoppare le reti e con un ago speciale – la crocella – mi accingevo a riparare i buchi di una rete tutta rotta appesa vicino al bar dei marinai proprio sul porto. Quando poi passava un marinaio a controllare il lavoro e vedeva i buchi che avevo riparato, mi sgridava perché avevo fatto “il piede”, avevo cioè sbagliato. Mi procurai un pezzo di rete di una decina di metri, l’appesi sotto il bar e ogni tanto, quando c’era Zu Monaco me la mettevo a rattoppare.

Lui, con fare molto distratto guardava sott’occhio quello che combinavo ed io, accorgendomene, facevo ancora di più errori grossolani che provocavano la sua pazienza e alla fine mi tolse la crocella dalle mani, mi chiamò ad alta voce “CIUCCIU “ e cominciò ad aggiustarmi quella rete che era di colore marrone, mentre il filo che usava era bianco, in maniera così precisa e perfetta che venne poi presa come modello. Le parti bianche della rete superavano quelle marroni tanto era stato il suo intervento di restauro.

Quanti pesci pescai con la rete “incazzillata” che mi aveva fatto Zu Monaco! La mettevo la sera tra due scogli dove c’era il passaggio dei cefali e delle salpe. Al mattino spesso la trovavo piena di pesci ed io non disdegnavo di vantarmi della bella pescata mostrando a tutti il pesce appena preso, in barba agli insegnamenti che volevano che si nascondesse per evitare le pericolose invidie. Fatto sta che un bel mattino non la trovai più dove l’avevo posizionata.Zu Monaco era considerato da tutti molto furbo e scaltro e raccontavano i marinai, divertiti e soddisfatti, di un pescivendolo calabrese che era riuscito a fregarlo.

Venne un giorno al porto un calabrese che aveva da poco aperto , verso Diamante, paese calabro, una salagione e parlò con i marinai per contrattare l’acquisto delle alici. Offrì un buon prezzo e un regolare contratto registrato. Zu Monaco accettò il contratto impegnandosi a vendere, al prezzo pattuito, tutte le alici che pescava ed il signore sottoscrisse che avrebbe acquistato tutte le alici adatte alla sua salagione. Sembrava tutto regolare ma un giorno che si pescarono tantissime alici ed il loro prezzo crollò, Zu Monaco si vide rifiutato l’acquisto del suo pescato perché il calabrese non l’aveva reputato “ Adatto alla sua salagione”.

Dovendo decidere lui quali pesci erano adatti o meno alla sua salagione il furbone era sempre libero di decidere se comperare o meno il pesce mentre il venditore era condizionato a venderlo solo a lui.Zu Monaco comunque con questo contratto aveva insegnato a vendere il pesce oltre il confine di Maratea usando il treno merci come veicolo di trasporto verso i paesi vicini.

Morì colpito da malore mentre si accingeva a tirare la sua barca sulla spiaggia.Occupa tutt’ora un posto importante nella storia del nostro piccolo borgo marinaro.(nella sezione poesie quella dedicata a zu Monico da franco Chiappetta)

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