Il vecchio pescatore (di Letizia Labanchi)
IL VECCHIO PESCATORE
“Cazzaneddu”
Come a bulino cesellato il volto
da sole e vento
il vecchio pescatore
sovente contraèa le folte ciglia
quasi a scrutare ancora l’orizzonte.
E gli occhi stanchi
fra que’ due cespugli
ispidi e grigi,
erano chiari e azzurri
quali piccole conche
fra gli scogli.
Sordo a ogni voce
fuor che a la risacca,
scontroso e triste ora passava i giorni
appoggiato alla barca
dalla chiglia
arsa e scrostata lontana dall’onde.
“Cazzanu” era chiamato
e il suo tormento
era di non poter più uscir sul mare
quando partìano gli altri
all’imbrunire
con le belle lampàre.
Fermo presso la barca,
ricordava…
e non udìa chi gli passava accanto
volgendogli un saluto,
nè i monelli
che si burlavan della sua vecchiezza.
Ricordava i bei giorni
ormai lontani
da lui vissuti con la fronte al vento
fra cielo e mare,
insieme coi suoi remi
e con le reti rilucenti e piene.
E rivedeva la distesa azzurra
dell’onde crespe
sotto lo scirocco;
rivedeva i delfini in lunghe schiere
e il volo dei gabbiani
in sulla sera.
Con una sola mano
governando
la barca contro cui ruggiva l’onda,
quante volte il furor della tempesta
vinto avea,
silenzioso, a testa bassa!
Con la pipa fumante fra le labbra
e il berrettone in capo,
i piedi scalzi
affondava con forza nella sabbia,
rimboccati i calzoni, quasi pronto
a spingere nell’acqua la sua barca.
Malinconico e assente a ogni richiamo,
rinchiuso nel mistero de’ ricordi,
celava il moncherino nella tasca
e spingeva lontano il fiero sguardo,
vecchio Tritone,
prigioniero antico
in terra ferma
ed anelante al mare!
Cazzano aveva una barchetta che si chiamava ” Balilla “. Alla caduta del Fascismo e l’avvento della Repubblica, il sindaco di Maratea lo chiamò e gli disse che non era più opportuno conservare quel nome alla barca e che lo doveva cambiare. Lui non rispose ma dopo qualche giorno, si fece aiutare e buttò la sua barchetta dalla
” mbraiata ” sulla scogliera, distruggendola. ” a varca, com’a mì,teni nu nomi sulu”.
La barca, come me, ha un solo nome …. . Diceva di essere ateo, ma ogni volta che passava davanti la chiesa, con l’unica mano che aveva, muoveva la coppola in segno di rispetto. Soleva alzarsi al sorgere del sole e coricarsi al suo tramonto, non prima di averlo salutato…..
Ringrazio Antonio, Francesco ed Aldo per aver ospitato tra le poesie dentro “U funnicu”,avente dinanzi il mare del Porto di Maratea, i versi dedicati al mitico pescatore “Cazzaneddu” da mia zia Letizia.
La nostra Maratea è costituita da numerosi borghi, ciascuno con la sua identità e la sua storia, ed il Vostro “Museo virtuale della civiltà marinara di Maratea”, nel privilegiare ed esaltare la memoria della vita di uno di essi come luogo del cuore, si propone ai “naviganti” come faro ed approdo, capaci di unione tra le diverse generazioni.
Nato nel Centro storico, i miei ricordi sono lì maggiormente presenti ma sono, comunque, sparsi un po’ dovunque nella nostra bella Maratea e non possono non essere legati anche al suo mare ed al borgo del Porto. Sarà anche per questo che mi ritrovo volentieri a “navigare” nel Vostro sito.
Emanuele, grazie a te per aver condiviso questi bei versi che salutano adeguatamente un gran marinaio, uno degli ultimi ad avere un codice d’onore con la Natura, rispettoso delle sue leggi (non andava mai a coricarsi senza aver salutato il sole). Sei il benvenuto ogni qualvolta sentirai il bisogno di condividere un documento, una testimonianza o solo, si fa per dire, un’emozione. Grazie ancora