ù Vaccàru
E così, la rema di levante ha portato via anche te, caro Vaccaro, quella rema che porta a ponente, al tramonto, alla fine….. Lunga però è stata la tua vita di marinaio e, tolto l’ultimo periodo di qualche anno, anche in buona salute, nonostante tutti gli stenti, i sacrifici, il duro lavoro di marinaio, fatto spesso in condizioni proibitive. Ricordo tutte le tue barche, tutte troppo piccole per poterti far fare le cose che volevi in condizioni decenti…. Le reti di fondo quasi l’affondavano, così pure le reti di superficie ( schittuni ) per non parlare dei piccoli cinciorri che solo per miracolo non l’affondavano del tutto. Ma, ancora li vedo a poppa, quanti pisci Ssunta aviti ì ‘a vènni a màtina….
Ma quello che mi resta più impressa nella mente quando ti penso è la tua innata ironia, quel modo di raccontare, di raccontarti nelle vicissitudini della vita, mettendo in luce anche le tue tante paure, le tue furbizie, il tuo modo di pesare le persone e di prenderle in giro. Romano ancora adesso non riesce a capacitarsi del fatto che ti sei costruito una bella e grande casa con i soldi guadagnati a mare, e quanti conti avete fatto insieme, e quante bugie gli hai raccontato e quanti aneddoti ne sono venuti fuori…
Ho avuto il privilegio di fare insieme a lui e ad altri marinai la doppia maglia ad un suo cinciorro, un mese intero di lavoro serale nella casa dei Francesi… Ho iniziato che ero una moviola e mi sentivo osservato da lui che mi guardava sottocchio perché controllava che facessi bene i nodi ma dopo qualche giorno ha detto che “ tridicicocci è svegliu “…. tridicicocci è il soprannome che ho ereditato dalla mia famiglia. Con lui sono andato tante volte a pescare le alici col cingiorro e qualche volta sono stato con lui nella barchetta con la lampara, lui faceva il lampista, era colui che faceva accogliere le alici sotto la luce , ne valutava la quantità e la qualità e alla fine decideva quando far calare la rete per pescarle.
Era il compito più importante ed io cercavo di carpire quante più notizie possibili. Lui, come tutti i marinai non ci teneva ad insegnare agli altri il mestiere perché bisognava rubarlo, come avevano fatto loro, comunque mi insegnò a “ scanagliare la rema “ vedere la direzione della corrente, a scanagliare la “ mpullamia” la corrente di superficie, dove fare fonda , dove cioè iniziare a calare la rete, capire se le grumelle erano di alici, sarde o sauri e vope… le grumelle erano delle bollicine che emergevano dal fondo sotto la luce e, secondo la loro dimensione indicavano la natura del pesce, era un bel bagaglio di notizie che mi disse, poi una sera mi chiamò e mi chiese di guardare sotto la luce e dirgli quanti pesci vedessi… io scrutai bene sotto la luce e vidi passare un solo pesce che sfrecciò proprio sotto il fascio di luce della lampara, lui chiamò la barca grande e disse loro di calare la rete , io pensai: “ questo è pazzo”…. far calare per un solo pesce…. In quella cala pescammo oltre otto quintali di alici e un quintale di sarde.
Quando il pesce fu tutto a bordo mi chiamò e mi disse: “ Chisti erunu u pisciu cavisi vistu… “ Per tutta la vita mi ha ricordato questo fatto, anche ultimamente, nonostante non sempre connetteva correttamente. Il sodalizio più simpatico però il Vaccaro lo ha tenuto con Igno Agno, vecchio marinaio del Porto e complice di migliaia di avventure. Aveva due fratelli , Biagio che faceva il ferroviere e attraversava da solo le gallerie di notte con una semplice luce ad acetilene e Gaetano che faceva il piccolo commerciante e circolava più di notte che di giorno sempre da solo, lui invece era notoriamente pauroso e non lo nascondeva assolutamente.
Una volta aveva pescato due pesci corvo, questo è un pesce che, sfregando delle spine che ha ai lati delle mascelle produce lo stesso verso del corvo, fa proprio cra, cra.. lui per non farli sbattere li aveva messi sotto le tavole del pagliolato della barca quindi non a vista. Poi se n’era dimenticato perché aveva continuato a togliere tutte le reti e a sistemare il resto del pescato. Mentre se ne stava tornando a remi verso il Porto cominciò a sentire questo rumore e, non vedendo nessuno e sentendo che il rumore veniva davanti a lui girò la barca e si mise a remare concitatamente verso il largo… quando si ricordò dei due pesci corvo disse che le case del Porto si vedevano piccole…..
Per un Marinaio, essere soprannominato U Vaccaro può sembrare strano invece sia suo padre che tutta la famiglia della moglie Assunta avevano effettivamente a che fare con le vacche e quindi lui, gioco forza si è trovato pure ad accudire le vacche, non ci dimentichiamo che il mare concede larghe pause dovute a condizioni proibitive di pesca soprattutto d’inverno e quindi il Vaccaro era anche versatile a nuovi lavori. Raccontava che quando a Maratea stavano facendo il doppio binario, quindi negli anni cinquanta, lui andò a lavorare con una ditta a Marina di Maratea e ogni mattina doveva alzarsi alle 5 e raggiungere dal Porto Marina di Maratea un po’ a piedi, il primo tratto fino a Filocaio, poi con la bicicletta che teneva nascosta in una grotta dove se ben ricordo il padre aveva qualche vacca.
Il Capocantiere della ditta, sapendo che era marinaio gli chiese una lenza per pescare dagli scogli durante l’ora del pranzo . Lui, per non dimenticarsi e fare una bella figura col capocantiere, il giorno dopo, appena arrivò a casa, fece la lenza, l’avvolse intorno ad un sughero, amo compreso e se la mise in tasca…
La mattina dopo partì di buon ora per arrivare in orario al lavoro. Lui tribolava sempre nel tratto a piedi perché quella è una zona dove si diceva di tutto e di più riguardo a presenze di spiriti.. e sfortuna volle che l’amo che aveva in tasca legato alla lenza, si staccò dal sughero e restò penzoloni fuori dalla tasca…
Il viottolo era stretto ed era pieno di ginestre e altre macchie. Ad un certo punto il Vaccaro si sentì tirare da dietro il pantalone, ( era a sua insaputa l’amo che si era impigliato in qualche macchia) , si voltò già tremolante di paura e, non vedendo nessuno, fece uno scatto in avanti perdendo la prima ciabatta.
“ U cori già m’arrivàviti ‘nganna ” diceva, ma per fortuna l’amo si era disincagliato ed il piede senza ciabatta aveva ancora solo qualche graffio. Ma poco dopo l’amo si incagliò in maniera più seria vicino ad un altro ramo, si rivoltò e, non rivedendo nessuno, ebbe la certezza che la situazione non era buona e che si trattava di nu malu bestiu…… cercò di accelerare il passo ma la gamba venne tirata da dietro dall’amo che a sua insaputa si era impigliato… a quel punto non capì più niente e parti a testa in giù in avanti, non curandosi più ne dell’altra ciabatta che aveva perso , nè del pantalone che era finito in brandelli…. . Fu quando raggiunse la bicicletta, coi piedi sanguinanti e la tasca dei pantaloni completamente strappata che si ricordò di quella maledetta lenza… Quando la raccontava con quel suo modo di dire, ci faceva veramente divertire e lui con noi.
Quando io l’ho conosciuto viveva al porto, all’ultimo piano della casa più vicina la mare, poi si è trasferito poco distante, sempre nella piazzetta del Porto in un’altra casetta piccola ma il contatto col mare era epidermico. Passava le giornate piovose e fredde a rattoppare reti, a farne di nuove e a frequentare quei marinai che diventavano sempre di meno, spesso raccontavamo dei fatti o ci prendevamo in giro e lui accusava spesso una certa sordità che era ad orologeria.
Non sentiva solamente le cose alle quali non gli conveniva rispondere e, spesso camminava con una bottiglietta di alcool in tasca, quando incontrava Igno Agno si fermava a parlare con lui e spesso gli versava a sua insaputa un po’ di alcool sopra il cappello di Alpino che portava sempre, poi con l’accendino lo faceva incendiare e poi glielo diceva pure: “ vidi c’apigliatu focu ncapu “ Igno Agno scuoteva la testa e si faceva una doccia di fiammelle d’alcool che gli annerivano il pastrano, il Vaccaro rideva e noi gli affibbiammo anche il nomignolo di “Nerone”.
La storia di questo piccolo borgo marinaro porta il suo nome, insieme a pochi altri dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, storia triste, con episodi luttuosi e di povertà ma anche di speranza e solidarietà, il nostro mare non è stato mai largo di manica, ma un poco di pesce, o delle patelle o anche delle pietre bollite si sono sempre recuperate, quest’ultime si chiamavano “ i Paddotti “ erano proprio delle pietre rotonde di roccia bianca, ricoperte di un muschio verde, che bollite facevano un sughetto verdognolo che sapeva di mare e insaporiva la pastina che vi veniva immersa.
Il Vaccaro quindi è stato un grande artefice della storia della marineria del porto, l’ha vissuta proprio tutta , partito con la barca a remi e a vela, “ u Vuzzu “ e con le reti di cotone è arrivato con la barca a motore e le reti di nylon, in questa evoluzione lui è sempre stato tra i migliori sia come pescatore che come uomo, sicuramente non ti dimenticheremo………e come stà scritto sulla lapide di Nasiceddu: “ci rincontreremo oltre il tempo”.
Tridicicocci (nella sezione Poesie troverete quella dedicata al Vaccaro da Franco Chiappetta)
caro Aldo,le parole che hai voluto dedicare a mio zio sono davvero “struggenti” e rievocano un periodo della mia vita in cui trascorrevo molto tempo in barca con mio padre che, come tutti i pescatori, non era molto loquace. Tuttavia quei silenzi erano fondamentali per cogliere il significato di quel dialogo muto che intercorreva tra il pescatore e il mare. Anche le notti passate ad aspettare che qualche totano fermasse il discendere della “totamara” verso il fondo,fanno parte
di quel cantuccio prezioso della memoria che conserviamo gelosamente.Ti ringrazio per questo ricordo che hai voluto indirettamente dedicare anche al mio adorato papà
e ti saluto affettuosamente………….e comunque ci ritroveremo tutti oltre il tempo!!!