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In ricordo del serg. cann. Beniamino Zaccaro.

Il ricordo va esteso a QUANTI ERANO CON LUI SUL SOMMERGIBILE “JANTINA”, dopo il recente ritrovamento del suo relitto.

Relitto del sommergibile italiano Jantina affondato durante la seconda guerra mondiale dal sommergibile britannico HMS Torbay, giace a sud dell’isola di Mykonos, Mar Egeo, Grecia, 03.11.2021

– Da “Con la pelle appesa a un chiodo” – Jantina :

“Entrato in servizio il 1 marzo 1933, era un “sommergibile di piccola crociera della classe Argonauta (650 tonnellate di dislocamento in superficie e 800 tonnellate di dislocamento in immersione). Insieme al gemello Jalea, si distingueva dalle altre unità della classe per il diverso apparato motore (motori diesel FIAT e motori elettrici CRDA, mentre Salpa e Serpente avevano motori diesel Tosi e motori elettrici Marelli, ed Argonauta, Medusa e Fisalia avevano motori sia diesel che elettrici CRDA).

Effettuò in guerra 7 missioni offensive/esplorative e 4 per trasferimento od esercitazione, percorrendo in tutto 5634 miglia in superficie e 1203 in immersione, e trascorrendo 72 giorni in mare”

Posciò e i mitici pescatori di Maratea (di Sergio de Nicola)

 

 

Non è una favola ma un episodio reale quello che accadde a Raffaele Amato, mitico pescatore di Maratea Porto, meglio conosciuto come Posciò, che si vide salvata la vita da una grossa cernia che doveva essere sua preda.

In una cronaca di Pasquale E. Iannini riportata su “Il Popolo di Roma” il 15 maggio 1933, si racconta come Raffaele, inseguendo una grossa cernia, si trovò incastrato tra gli scogli sui fondali della Matrella.L’intuito e la disperazione lo portarono prontamente ad aggrapparsi alla coda del grosso pesce, che, “desideroso” di prendere il largo, lo aiutò a superare l’angustia del luogo e riguadagnare quella libertà di movimenti che gli permise, tutto escoriato, a riportarsi “in superficie”, dove trepidanti per la prolungata immersione, lo attendevano i suoi compagni di pesca.

A mio zio (di Mario Chiappetta)

 

 

 

Era un po’ di tempo che, mio malgrado, non visitavo il sito curato dai miei fratelli e dal simpatico amico Aldo Fiorenzano. Ebbene, sono rimasto come sempre colpito da tutte le storie riportate e raccontate e che, nonostante siano già state lette e rilette, lasciano sempre in me qualcosa di indescrivibile tale che, ad un certo punto, mi è venuta spontanea una considerazione: perché raccontare le storie o gli aneddoti solo dopo la scomparsa dei protagonisti?
E’ così che, tra una lettura e l’altra e la serie infinita di ricordi che queste suscitano in me, ho preso carta e penna ed ho sentito il bisogno di provare a raccontare il periodo della mia infanzia e gioventù vissuto accanto a zio Beniamino, sostenuto dal desiderio di poter quanto prima condividere con lui quei ricordi di vita quotidiana così belli e significativi che hanno scandito la sua vita e segnato, soprattutto, la mia.

Schettino Raffaele

detto ù Vaccaru perchè, quando non impegnato nella pesca, accudiva le mucche della famiglia della moglie Assunta. In una fredda serata di gennaio ci ha lasciato uno degli ultimi grandi marinai del Porto, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere apprezzandone la grande abilità nell’arte marinaresca.Solitamente preferiva calare i mestieri da solo sia reti che ami. Un giorno l’ho visto mentre innescava una catranella con i “cazzi di mare” (oloturie) buttando gli ami ,alla rinfusa sulla “spasella” della coffa. Guardandolo allibito pensai che quegli ami andavano calati di notte e da solo mentre io e mio fratello, pur di non fare aggrovigliare il filo,mettiamo una cura meticolosa per la stessa operazione. Non potrò mai dimenticare il giorno in cui (in effetti non mi sembrava vero) venne con me a calare una coffa con il mio gozzo. Per meglio capire il personaggio vi invito a visitare la sezione Storie del sito dove Aldo ne traccia un profilo assolutamente fedele. Non mancate di leggere la poesia nella relativa sezione, dedicata al Vaccaro da Franco Chiappetta.

Zaccaro Vittorio

detto Vernillu perché ghiotto di un tipo di fichi. Era pescatore di lambara e,certo il più loquace dei fratelli Giuvannuzzi. Non avendo particolare predisposizione per il mare ,era emigrato in America per un certo periodo. Si racconta che il giorno del suo matrimonio sia legato ad una delle peggiori mareggiate che si ricordino, quando non c’era ancora il porto. Prima di andare al ristorante a Fiumicello per il ricevimento, pur non essendoci nessun segno premonitore, zù Monicu pretese che tutte le barche venissero portate sulla “mbraiata” tra la perplessità dei marinai che già erano pronti per il banchetto. Eseguito, non senza mugugni il “consiglio”, i pescatori si recarono alla festa che ebbe termine a notte inoltrata. Quando gli invitati decisero di far ritorno al Porto, furono costretti a scendere dalla Timpa (attuale panoramica) perchè la mareggiata aveva distrutto la strada che dalla darsena conduce al Porto!  (al cento della foto con giacca cravatta e.. sigaretta)