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L’architetto
Erano gli anni ‘70 ed al Porto, in una delle case più belle, venne ad abitare un noto Architetto di Firenze. Girava voce che avesse progettato la stazione di Firenze, il piano regolatore di Stoccolma ed altre importanti opere. Era un uomo anziano, molto alto dal fisico un poco cadente dovuto al fatto che prima era grasso e poi era dimagrito tanto, ciò gli conferiva un’aria un poco triste. Bastò questo per rimediare il soprannome di “ Camposanto”. In genere vestiva abiti di lino bianco ed era, a parte l’aspetto fisico, di una simpatia unica , parlava con accento fiorentino ed aveva assunto come donne di servizio due sorelle anziane del Porto, Drosolina e Teresa, essendo troppo difficile chiamare una persona Drosolina, l’avevano ribattezzata Rosolia.
Liuni
Durante la primavera, per molti anni consecutivi, veniva al Porto, con la sua barchetta “Giovanni dalle Bande Nere“ dal vicino Scario, paesino della Campania, Liuni, un simpatico pescatore allegro e scherzoso,ubriaco quasi a tempo pieno.
Felipe
Alla fine della seconda guerra mondiale Maratea era in condizione di povertà assoluta, come d’altronde tutti i paesini del sud. I giovani erano in guerra ed il paese era abitato da donne ed anziani. La terra era in totale stato di abbandono e persino il mare era particolarmente avaro.
Zu Monico
Tra i tanti marinai del porto ormai passati emerge la figura di Zu Monaco. Umberto Zaccaro, questo era il suo nome, abitava nella casa più vicina al mare, sulla spiaggia, quasi a mantenere un contatto continuo ed epidermico con quell’elemento che non abbandonerà mai. Aveva un carattere forte e deciso, nelle discussioni voleva sempre averla vinta lui perché si reputava il più bravo e il più esperto in assoluto e in alcuni campi lo era per davvero.
Andrea
All’inizio degli anni ‘60 iniziai a fare la pesca subacquea. I mezzi erano molto rudimentali ma i pesci nel mare non mancavano. Avevo una maschera ereditata da mio fratello, molto vecchia, con il vetro lesionato e la gomma ingottata. Ogni momento dovevo togliere l’acqua che vi entrava e mi faceva bruciare gli occhi. Il vetro era sempre appannato ed io stavo sempre a sputarci sopra, così si usava spannare le maschere. Avevo una sola pinna n° 42-44 di colore nero, ricucita nel tallone ed ingottata ma con essa al piede mi sembrava di volare.